COSA FARE IN ABRUZZO A PASQUA QUANDO PIOVE
Pranzo di Pasqua… eravamo al mare a Giulianova in Abruzzo, ma non volevamo pesce (che avevamo mangiato la sera prima, in un posto buono ma un po' caro), i posti migliori sulle colline teramane erano già tutti completi pur avendo cercato di prenotare con qualche giorno di anticipo, qualcuno ci aveva detto di richiamare che forse avrebbero messo i tavolini in terrazza, ma dall'alba tira vento e a tratti piove, quindi escluso… allora, compulsando la “Miche” abbiamo trovato che ad Alba adriatica, pochi chilometri a nord, c'è un ristorante molto consigliato che propone carne e formaggi: proviamo a telefonare e accettano la nostra prenotazione, ci tranquillizziamo di non rischiare di girare a vuoto finendo per mangiare cibi freddi a casa (come abbiamo fatto in questi stessi luoghi alcuni anni fa a Pasquetta).
UN RISTORANTE CHE VUOLE DARSI UN TONO
Eravamo già stati nella via in cui si trova, una centrale e non amena strada di case di cemento perpendicolare al lungomare; questi paesi sulla costa sono tutti di costruzione recente e poco meditata: i borghi storici sono sulle colline alle spalle, e sul mare si è cominciato a costruire per il turismo balneare di massa. L'edificio non è differente da quelli della via, ma il locale si rivela molto diverso dal ristorante “rustico” promesso dalla guida: dehors chiuso da vetrate con poltroncine di vimini, sala evidentemente rimodernata tutta cristalli, legno chiaro e pietra a vista, tavoli con apparecchiatura di tono, con sottopiatti, piattino del pane e fiori. Chef e caposala sono due giovani fratelli (i Capretta, bellocci, a detta della mia compagna), solleciti ed evidentemente fieri del loro ristorante; discrete e rapide le cameriere.
Bella carta piuttosto articolata ma non troppo ampia, incentrata su una rivisitazione creativa con cautela (un po' “ricercata”, come ci dice lo chef) della cucina di terra abruzzese, è previsto anche un menu di pesce che però non è specificato, dipende dal pescato del giorno; sebbene non si faccia pagare il coperto viene portato dell'ottimo pane in diverse varietà tutto fatto in casa e dell'olio extravergine locale, come in un ristorante di tono i piatti vengono illustrati al momento di servirli, ma il tutto senza presunzione, in alcuni momenti viene fuori l'anima da trattoria familiare, come nel tavolo accanto che ospitava presumibilmente genitori e zii (voracissimi) di una delle cameriere.
VARIAZIONI PASQUALI TRA AGNELLO E COLOMBA
Su tutti i tavoli campeggiava un foglietto con il menu di Pasqua, che abbiamo deciso di prendere, comprendeva:
“scrippelle Â?mbusse”, cioè delle tradizionali crespelle al formaggio (una a testa) in brodo, delicate;
un piatto in vetro con “olive ripiene d'agnello (due) con spuma di zafferano” e “insalata di crauti in agrodolce con mele semi di papavero e melograno”, ottime le olive, molto graditi i crauti da noi che ne facciamo largo uso;
un altro piatto in vetro con “cannolo di pasta sfoglia ripieno di ricotta su crema di spinaci”, “zuppa di fave fresche con fonduta di pecorino e crostino di pane” e “farrotto con ragù bianco d'agnello su crema di zucca e salsa di liquirizia”, il cannolo era discreto, ma mi ha confermato che la sfoglia, anche quando è fatta bene, non è tra i miei impasti preferiti, la “zuppa” era in bicchierino e di consistenza densa, non male, il farrotto era molto buono;
“timballo tradizionale all'abruzzese”, dei timballini monoporzione anziché a fette, con un buon sugo, mozzarella e delle minuscole polpettine, buono, ma a mio parere poco sapido, un po' di sale (assente al tavolo) e magari anche di pepe o peperoncino in più avrebbe giovato;
“coscia disossata (d'agnello) con paprica, curry e guanciale”, saporita e profumata, con un accompagnamento di purè in versione molto morbida;
“crema al cioccolato con panna alla cannella”, in bicchierino, praticamente la versione di pasticceria delle coppe di dessert al cucchiaio analoghe vendute nei supermercati dalle multinazionali;
“colomba ripiena di crema e uova di pasqua”, una onesta colomba pasquale farcita da loro con mousse di cioccolato in forma d'uovo.
Ovviamente le porzioni erano piccole, ma non minuscole, e tutte insieme formavano un pasto abbastanza impegnativo.
DEGUSTAZIONE AL MALTO
La carta dei vini comprendeva anche la carta delle acque (che io trovo ridicola, ma se a qualcuno interessa…) e una bella carta delle birre, ed è a questa che ci siamo rivolti, incoraggiati dal gestore (da principio pensavamo solo di inserire una birra in mezzo a dei calici di vino). Mi ha leggermente infastidito il fatto che, trattandosi di birre belghe magari non da tutti conosciute, il buon Capretta si sentisse in dovere di convincerci che sono buone e adatte al pasto, e sembrasse scettico quando gli dicevo di conoscerle… or dunque, in particolare tra i 15 e i 25 anni, ma anche in seguito, sono stato un grande amante delle birre, ricercandole per ogni dove e comprando praticamente tutti i libri in commercio, un paio di anni fa ho anche incontrato il famoso beer hunter Michael Jackson, morto la scorsa estate, quindi non millanto di certo le mie conoscenze in campo, e ho anzi la tendenza a minimizzarle; la mia compagna dice che questo mi dà un aria di sufficienza con camerieri e gestori, sottolinea che avere a disposizione certe birre ad Alba Adriatica è diverso che averle a Milano, e che potrei fingermi più incuriosito per gratificare lo sforzo della selezione, probabilmente ha ragione.
Comunque abbiamo cominciato con una bottiglia da 75 cl. di La Chouffe bionda (un classico delle birre artigianali della Vallonia), tenuta in fresco in un secchiello da champagne e versata in calici leggermente a balloon, per continuare poi con due da 33 cl. cioè una triple dell'abbazia Westmalle e infine una Rochefort 10, che con i suoi 11, 3° è una delle trappiste più forti che ci siano, e anche una delle mie favorite; passito offerto con i dolci… peccato che non abbiano saputo restare nel malto tirando fuori una birra particolarmente dolce tipo la Cuvée de l'Emitage, la Gouden Carolus o Bière du Chateau per rimanere in Belgio, oppure una chocolate stout o un barley wine varcando il Mare del Nord.
IL CONTO E LE CONSIDERAZIONI FINALI
I menu costavano 40 euro a testa, aggiungendo 21 euro per le birre (che nel conto sono state fatte pagare meno di quanto appariva sulla carta), 2 euro per una sola bottiglia di acqua a fronte di due (una gassata e una liscia) effettivamente bevute, e 1.50 euro per un caffè servito con cioccolatini Valrhona (abbiamo visto la fabbrica alcuni anni fa in una delle nostre vacanze in Francia, si trova a Tain L'Hermitage, dove viene prodotto il famoso vino omonimo), si arriva a 104.50 euro: un buon prezzo per il cibo mangiato, certo caro se uno si aspetta la trattoria di campagna, ma più che onesto per il servizio corrisposto.
In linea di massima io non amo molto questo tipo di locali, che non sono in grado di proporre della vera alta cucina ma si distaccano comunque dalla tradizione e imitano il servizio dei grandi ristoranti, ma questo è molto interessante, situato in un contesto dove questo tipo di elaborazione dei cibi è ancora piuttosto rara, i sapori sono ben definiti e il conto ancora molto ragionevole (fuori dal menu di Pasqua per un antipasto, un primo e un secondo si spende poco più di 30 euro); io personalmente sono per i tre cappelli e mezzo, ma la mia compagna invece è decisamente entusiasta, e quindi arrotondiamo a quattro.
Andarci apposta mi sembra esagerato, ma se ci si trova a passare sulla costa adriatica a sud di San Benedetto del Tronto e a nord di Pescara è un indirizzo da prendere sicuramente in considerazione, se si ha voglia di qualcosa di diverso dalla grigliata di pesce e dagli arrosticini.
Consigliatissimo!!