NON SI SA MAI
Potrebbe capitare. Potrebbe darsi il caso che dobbiate prendere un volo alla Malpensa la mattina dopo e abbiate voglia di fare una buona cena, oppure potreste essere in macchina diretti in Svizzera, o magari avete dei parenti o degli amici in zona… insomma, potrebbe anche darsi che vi troviate dalle parti di Galliate Lombardo per mangiare. Allora, se vi piace una cucina di ricerca non troppo estrema e ben eseguita, potreste andare alla Antica Trattoria Monte Costone.
CON TRE BIONDE E UNA BRUNA
Noi ci siamo andati domenica sera: era da un po' che dicevamo di voler provare uno dei ristoranti stellati della provincia di Varese, vicino alla casa dei genitori della mia compagna; il progetto originario prevedeva di andarci con loro, i “suoceri”, ma costoro lamentavano la spesa, e manifestavano scarsa propensione, così li abbiamo scavalcati e abbiamo deciso di invitare noi le tre amatissime cugine della mia compagna, ci sarebbe toccato offrire, ma la compagnia sarebbe stata quanto mai piacevole. Così in una sera velata di nuvole ma piacevole siamo partiti in macchina alla volta della sconosciuta Galliate; le tre biondissime cugine si erano messe in ghingheri, per loro è la prima volta in un ristorante di tal fatta, complice il giorno di vacanza il lunedì vengono per una sera messi da parte gli studi, la maggiore accenna senza convinzione al fatto che una volta tornata a casa dovrebbe riprendere. Ma io so già come vanno per le lunghe questo tipo di cene, e che non si tornerà in tempo, in più, durante la serata la stanchezza che la ragazza ha accumulato appare manifesta, non può che farle bene per una sera dimenticare del tutto i libri di studio.
L'AMBIENTE
Arrivare a Galliate non risulta complicato, avevamo buone indicazioni. Nessun posteggio del ristorante ma troviamo facilmente posto nella stessa via, giusto quattro passi, un'occhiata alla graziosa piazzetta del municipio, e poi raggiungiamo la terrazza del ristorante dal retro, con una mossa a sorpresa per spiazzare i gestori; nell'angolo più vicino noto un tavolo apparecchiato per cinque: si scopre essere proprio il nostro. Da dove mi siedo si può vedere il lago di Varese, se non proprio le sue acque, che s'indovinano appena, le sue sponde e le montagne che lo incorniciano; sono le otto in punto, è ancora molto chiaro, ci sono un po' di nuvole e la vista è verso nord, quindi niente tramonto, ma l'aria è dolce e sembra persino che non ci siano zanzare. I tavoli sulla terrazza sono molto semplici ma comodi, a quelli in sala ho il tempo di gettare giusto un'occhiata andando in bagno (carente: molto piccolo, in un posto del genere mi aspetterei oltretutto gli asciugamani piccoli in spugna, e non solo non ci sono, ma per gli uomini sono addirittura finiti quelli di carta), sono un po' più eleganti ma non sfarzosi, credo che abbiano optato per una semplificazione rispetto a quanto avevo letto in giro su questo posto: per esempio noi non abbiamo né sottopiatti, né piattino per il pane (ne sentivo la mancanza, lasciare sulla tavola un panino al pomodoro mezzo sbocconcellato non è bello), comunque la posateria è in argento e ci viene puntualmente cambiata a ogni portata, i calici sono in cristallo, anche se non specifici per quello che berremo, cioè birra, come vedremo.
LA COMANDA E IL SERVIZIO
Per la verità abbiamo iniziato con dello Champagne: la modalità è quella un po' ambigua di questi ristoranti, ti chiedono se lo vuoi con frasi che non fanno capire se sia offerto o no… per fortuna avevano già portato a tutti la carta, e sapevo dalla mia- l'unica coi prezzi- che veniva otto euro a calice; io nella mia taccagneria avrei anche evitato, ma le mie commensali (all'oscuro del fatto che fosse a pagamento) si erano già profuse in entusiastici gridolini di giubilo, per cui, che diamine, crepi l'avarizia: quattro calici, sì quattro, perché Ilaria, la minore delle cugine ha dodici anni e non beve (io veramente alla sua età la possibilità di scolarmi un po' di vino, in particolare spumante, non me la lasciavo sfuggire). Mentre stiamo brindando, esce lo chef Ilario Vinciguerra e si lamenta che la sua omonima non abbia nulla del bicchiere, e le versa un fondo di Champagne perché partecipi anche lei; corroborati dal vino possiamo deciderci a scegliere.
I tre menu degustazione sembrerebbero niente male, già il meno caro (65 €) a me andrebbe benissimo, ma bisogna considerare diversi fattori, cioè che non a tutte potrebbe piacere tutto e che le tre cugine sono piuttosto longilinee, certo non avvezze a certi pasti copiosi, quindi abbiamo scelto alla carta, prendendo solo un primo (io in realtà un antipasto) un secondo e un dolce a testa; ci consigliano di ordinare per quanto possibile le stesse cose per non aspettare troppo, ma non diamo molto retta, infatti chiediamo:
due porzioni di gnocchetti di melanzane con crema di baccalà e pesto di pomodoro,
una di paccheri alle triglie di scoglio e verdure disidratate,
una di ravioli di lattuga di mare con pomodori confit e spuma di acqua di mare,
e una di capesante crude con pomodori secchi, pinoli e petali di fiori;
per secondo tre porzioni di coppa di maiale caramellata con verdure e salsa al lapsang souchong,
una di misto di pesce bianco con spuma di patate viola e aria allo zafferano,
e un piccione in crosta con fegato grasso e asparagi;
infine la degustazione di dolci “lavori in corso” per tutti.
Il servizio si rivelerà cortese e professionale ma un po' lento nel corso della cena e addirittura lentissimo al momento del conto, d'altra parte abbiamo visto solo un cameriere e una giovane donna che probabilmente era quella che in Francia sarebbe chiamata la “patronne”, la padrona di casa… non si sarebbe detto per l'età, ma d'altra parte lo stesso chef è sui trenta anni.
A proposito di questa persona devo confessare una cosa: forse le accuse rivolte alla mia compagna di eccesso di malizia nel trattare chi serve in tavola non erano completamente campate per aria; fatto sta che non gliene passava una, c'è stato per esempio uno scambio di battute sul carotene, in cui con la cugina aspirante medico a darle manforte, ha chiaramente messo alle strette la povera ragazza che non ha studi di chimica o medicina alle spalle. Altro momento è stato quando ha definito Norah Jones, la cui musica fluttuava tra sala e terrazza, “cantante di musica da ristorante” proprio mentre il cameriere ci stava cambiando i piatti. Una mancanza un po' seria si è verificata con le bevande: per l'unica cugina che aveva preso il pesce, avevo ordinato un calice di tocai al posto della birra (era stata quella meno entusiasta all'idea di sostituire il malto all'uva), ma al momento di cambiarci i calici ne hanno portato anche a lei uno identico vuoto e le hanno versato la birra prima che io ci facessi caso, subito dopo le ho chiesto se voleva che sollecitassi il vino che avevano dimenticato, ma lei ha preferito lasciar correre.
LE BEVANDE
Il ristorante era dotato di una carta dei vini, piuttosto ampia ma l'ho osservata appena, una lista dei vini al calice e una buona carta delle birre (nel 2007 hanno anche vinto un premio dedicato ai ristoranti amici della birra), su cui mi sono orientato. I motivi erano molteplici: innanzitutto come ho già detto sono un grande amante della più antica delle bevande inebrianti, poi era necessario che il tasso alcolico rimanesse basso, non era un mio problema ma qualcuno doveva pur guidare al ritorno, infine, ma non certo meno importante, questo mi permetteva di mantenere bassa la spesa in una cena in cui dovevo offrire per cinque, un'ottima birra generalmente costa meno di un vino di media caratura . Dunque ordino una bionda tedesca da mezzo litro della Mönchshof con i primi piatti (anche per far contenta Ilaria, che- pur non bevendo- voleva assolutamente che prendessi birra tedesca, mentre, come capiranno gli appassionati io ero molto più orientato sul Belgio) e una bottiglia da 75 cl di Montagnarde, una belga d'abbazia ambrata a 9° che sarebbe andata benissimo con piccione e maiale, come già detto avevo previsto anche un calice di tocai friulano per il pesce che è stato dimenticato. Io sono stato l'unico a prendere anche del vino col dessert (ah, non avere la patente, che privilegi), non ricordo cosa fosse, solo che era veneto a base di garganega e che non era niente male, anche se non spettacolare. Le birre sono piaciute a tutti, erano servite a temperatura adeguata e si sono armonizzate bene con il cibo. Le ragazze sono state morigerate e un litro e un quarto totale di birra è bastato per tutti, io ho anche potuto berne un po' di più; in compenso hanno scolato acqua per un totale di CINQUE bottiglie, spendendo più o meno tanto quanto abbiamo speso per la birra.
IL CIBO E IL SUO GRADIMENTO
Prima di tutto ci è stato portato di benvenuto delle piccolissime cocottine di ghisa (decisamente ci deve essere una vena di cleptomania nella famiglia, visto che la cugina Elisa voleva intascarsi la sua…) con del polpo con scarola e uvette, molto stuzzicante; subito dopo sono arrivati i grissini e il cestino del pane fatto in casa, in più varietà, compreso alle noci e al pomodoro, ancora un po' caldo, che ci è stato poi un paio di volte rinnovato.
Il piatto che avevo scelto erano le capesante, portate su un curioso piatto di vetro a forma di bolla cava con un avvallamento in superficie: molto buone, freschissime e di ottima consistenza, riuscito il matrimonio con dei pomodori secchi delicati che non prevaricavano; interessanti gli gnocchetti fatti esclusivamente di melanzana, io li ho assaggiati appena ma sono piaciuti; particolari, interessanti ma non travolgenti i ravioli con lattuga di mare e spuma di acqua di mare, presi dalla mia compagna più preparata a simili gusti; ottimi e più universalmente apprezzabili i paccheri presi da Ilaria, che tutti hanno assaggiato con gran gusto. Le porzioni erano da ristorante creativo, quindi non abbondanti, ma nemmeno tanto scarse.
Dopo un'attesa un po' più lunga che per i primi- intanto si era fatto buio, avevamo un lampioncino vicino che però non è stato acceso, dei faretti dalle pareti esterne del ristorante ci assicuravano una semioscurità svelata da una luce discreta, lasciando brillare tutte le luci sullo sfondo del lago, probabilmente se fosse stato più sereno si sarebbero potute vedere le stelle- sono arrivati i secondi: la coppa è stata molto apprezzata, l'ho assaggiata anche io ed era effettivamente morbida e saporita, la salsa al lapsang souchong (cioè tè nero affumicato, per me un sapore d'infanzia, ne ho bevuto anche scrivendo questa recensione, perché il suo gusto in certa misura malinconico ben si adatta ai pomeriggi piovosi d'estate) era molto interessante, non ho assaggiato il pesce, ma da come è sparito rapidamente credo sia piaciuto; il mio piccione era buono, ma avevo letto in una recensione una descrizione talmente entusiasta dei piccioni preparati da Vinciguerra che mi ha un po' deluso… niente a che vedere con i migliori piccioni mai provati, uno a Strasburgo e uno a Sens.
Qui devo aprire una digressione (no, davvero? Non lo fai mai ), quasi una confessione: nella prima metà degli anni 2000, quando ho cominciato a frequentare l'alta cucina, ogni nuovo ristorante gastronomico era una nuova rivelazione, altrimenti (molto raramente per fortuna) una delusione netta, che trovava d'accordo anche la mia compagna, cioè per dei ristoranti che non trovavamo all'altezza; da un po' di tempo invece, mi capita spesso di trovare piatti ai quali non ho da muovere critiche, che sono buoni, ma che non arrivano a commuovermi e farmi sognare. Sarà colpa della troppa aspettativa che metto prima di questi pasti, dell'abitudine che ormai ho acquisito, visto che adesso in ristoranti di quel livello ci vado anche un po' più spesso, forse anche del fatto che in assoluto io preferisco la cucina francese su cui mi sono formato (per quanto nell'alta cucina le differenze siano minori), e da troppo tempo non vado in Francia… a ogni buon conto certi rapimenti è da molto che non li provo più; sì, da Uliassi per certi piatti, ma non lungo tutta la cena.
Finiti i nostri piatti è cominciato a circolare per gli altri tavoli un carrello di formaggi molto interessante, niente a che vedere con certe smisurate proposte (in Francia imbattibile Bocuse, in Italia non dimenticherò facilmente la superba selezione da Vissani), ma comunque non abbiamo detto di no quando ce ne hanno proposto: ne abbiamo preso un piatto solo che abbiamo poi diviso; non ricordo tutte le varietà, ma da un formaggio semi fresco di tipi di latte (mucca, pecora e capra) fino a un gorgonzola di capra non troppo piccante abbiamo preso sei tipi in porzioni grandi abbastanza perché potessimo assaggiarne tutti quanti (alle volte servono certi “nonnulla di formaggio” come scrive Woodehouse), accompagnati da una composta di melagrana, una di fragola e un miele millefiori. Proprio su una toma “avvolta” (così diceva) nel carotene è iniziata la “disputa accademica”- come l'ho definita per troncarla- con la povera padrona interrogata dalle perfide scienziate.
Come avant-dessert dell'ottimo gelato cremosissimo e privo di particelle di ghiaccio (forse era stato preparato con uno strumento tipo pacojet) alla fragola e menta, ci hanno tenuto a farci sapere che le foglie per prepararlo erano quelle del loro orto, e infatti aveva un sapore molto autentico, completamente diverso da quello dei comuni gelati aromatizzati, forse avrebbe potuto anche sposarsi con una pietanza salata che sta bene con quell'erba aromatica; un po' deludenti i cinque “lavori in corso”, cioè il loro dessert antologico: innanzitutto mancava la pastiera che generalmente pare propongano, e c'era invece un cannolo alla crema un po' anonimo, gli altri assaggi, una crema di cioccolato calda, un tortino caldo di uva con lo zucchero bruciato, un gelato al pistacchio e un semifreddo al torroncino. Abbondantissima la piccola pasticceria finale, che ci è stata servita anche se non abbiamo preso caffè, quasi un nuovo dessert completo, per ogni persona c'erano infatti: una piccola crème brûlée, una piccola brioche alla marmellata, un babà, una pastina di cioccolato con un lampone, un cioccolatino, una pastina di pan di spagna al liquore e una caramella mou casalinga. Le ragazze hanno a questo punto dato forfait e rinunciato a qualche pasticcino che ho dovuto a malincuore mangiare io, avanzando comunque qualcosa.
Subito dopo il conto, chiesto ormai da quasi mezz'ora (le tre sorelle cominciavano ad agglutinarsi, la piccola si era seduta in braccio alla mediana che pendeva il capo verso la maggiore che a sua volta- era la più affaticata- quasi le si sdraiava in grembo, un quadretto delizioso) è arrivato Vinciguerra a offrire (questa volta davvero, avevo già firmato lo scontrino della carta di credito) un digestivo; ho accettato solo io il rum che mi proponeva, giamaicano, non ho potuto vedere l'etichetta: decisamente buono, privo di asprezze, forse non il più complesso che abbia mai provato, ma piacevolissimo.
IL CONTO E LE CONSIDERAZIONI
In cinque abbiamo speso 389 euro totali, purtroppo nella fattura non erano distinte le varie voci (comunque a un rapido calcolo corrispondevano con quanto preso, anzi forse ci era stato offerto qualcosa, per esempio il mio calice di vino da dessert), circa una settantina per le bevande e il resto di cibo. Qualcuno potrà trovare discutibile che io proponga un ristorante a simili prezzi, in un luogo tanto remoto e poi gli dia solo tre cappelli, ma voglio ribadire che per me si tratta di un voto pienamente positivo, e che veramente consiglio questo ristorante, che serve una cucina ricercata ma facilmente accessibile per un prezzo piuttosto corretto; la mia compagna, più soddisfatta di me, sarebbe propensa anche a dare quattro cappelli, ma alcune manchevolezze del servizio e il fatto che sarebbe la stessa valutazione di Uliassi, indubitabilmente su un altro livello, mi fanno rimanere a tre. Inoltre l'età del cuoco fa supporre che abbia ancora tanto tempo per crescere ulteriormente, e che tra qualche anno potrebbe diventare uno dei nomi più interessanti e citati del panorama gastronomico italiano.
Cinque cappelli complessivi alla serata, al contempo allegra e affettuosa: sono andato per ristoranti gastronomici con la mia compagna e da solo, era la prima volta che mi ci trovavo in compagnia più numerosa, la degustazione è stata fatta con minore concentrazione e “rigore analitico”, ma è stato molto divertente. Durante il viaggio di ritorno abbiamo cantato stornelli semi - arditi, compatibili con una ragazzina di dodici anni, che era in verità la prima a proporli e a insegnarli alla cugina e alle sorelle- io per la maggior parte li conoscevo già- mentre Laura, la futura speranza della medicina italiana già sonnecchiava, libera per una sera dallo studio puntiglioso che le consuma le normali giornate. Da rifare prima che il tempo e la carriera disperda le tre sorelle in giro per il mondo.
Consigliato!
[MarcoeSilvia]
05/06/2008