Uno era el Pìui, un altro el Cicio, poi el Pidu, Robert, Fili, e qualcun altro.
Dopo c'eravamo noi, che eravamo alcune coppie e due tre single.
Alla trattoria da Costa, ci andavamo qualche volta al ritorno dalle nostre battute di pesca, quando andavano in bianco, per mangiarci il pesce gatto che non eravamo riusciti a pescare nella cava della Pellegrina, vicino a Nogara.
Allora era un po' più bar, osteria di paese con assaggi solo di rane e barbi, sempre sommerso da una coltre di fumo stantìo, tabacco misto a olio fritto. Adesso è una bella trattorietta, ristrutturata da poco, ci sono gli aereatori e dentro naturalmente non si fuma.
Il nostro gruppo era formato da due componenti, ma una delle due pareva non saperlo, o forse lo sapeva e non si opponeva.
Si stava in “compagnia” nei fine settimana, qualche volta anche alla sera, senza nient'altro di particolare, nessun piedestallo, solo normalità . Il messaggio implicito, senza pretese, era che cercar di vivere bene era meglio che cercar di non vivere bene o di non vivere per nulla.
Un rischio difficile da spiegare, a pensarla oggi col senno di poi, ma allora ero appena diventato maggiorenne (“Gò vintà ni e no me ne cià va un'ostia...” gridavo scherzando) e il rischio decisi Â? decidemmo spavaldamente Â? di correrlo e di non lasciare spazio all'emarginazione.
Ci sono tornato sabato dal Costa, con la mia bambina mezzana, che ha solo qualche anno in più dei miei di allora e si è appena mollata col suo moroso pluriennale. Sentivo il suo bisogno di parlare, visto che mia moglie, parlatrice che scava, è in Austria con i suoi alunni.
Volevo avere qualche minuto in più in macchina, aveva del rosso intorno e dentro agli occhi, e trovare un posto un po' diverso dal solito.
Adesso non pesco più da tempo, ma allora, andavamo insieme, col bilancino, ad un ponticello sul Menago in cerca di aolette, anche queste da far fritte, o nella curva a gomito di qualche fosso, dove “ghè i luzzi che se inzùca”, secondo il detto con la zeta della nostra bassa. Oppure andavamo solo a camminare, senza canna da pesca, con chitarra a tracolla, provavamo ad arpeggiare Right Between The Eyes e cantavamo We shall overcome, Auschwitz, La compagnia, allora appena riadattata e lanciata dal Lucio: “Felicità à à à à ... à à à -à à à ... ti ho perso ieri ed oggi ti ritrovo già -à à ...”
Siamo nella landa sconfinata, tra risaie, granturco e fossi. Tormine non è neanche un paese, sono quattro case sperdute in mezzo ai campi, tra Mozzecane e Pelaloco, con una piccola chiesa, lungo una strada che sembra non portare a nulla. Nessuna macchina, un silenzio surreale, interrotto solo da un lontano sottofondo di Goran Bregovic, che proveniva dall'interno di un'abitazione... un bum bum bum lontassimo... sembrava che da un momento all'altro si aprisse un portone ed apparisse una faccia bastonata dal sole, col fazzoletto al collo ed un trombone in mano. Invece niente.
Da fuori, la trattoria appare come l'unica cosa decente della contrada. Il proprietario ci accoglie sorridente, quasi timido. La sistemazione interna non è esattamente come tanti anni fa, è tutto nuovo, con una grande sala aggiunta sul retro, ma c'è sempre il bancone bar in ingresso e lo spazio attiguo con pochi tavoli coperti da semplici tovaglie bianche. L'arredo è discreto, non pretenzioso.
Alla compagnia a volte si univano anche ragazzi che arrivavano lì all'ultimo minuto, un po' straniti, invitati da non si sa chi o neanche invitati, semplicemente si univano perché erano sbandati e non sapevano dove andare.
“Ho camminato a lungo senza meta, finché ho sentito cantare in un bar. Canzoni e fumo ed allegria, io ti ringrazio sconosciuta compagnia...”
Io ordino un quartino di Custoza sfuso - siamo vicini alla zona - la Eli una minerale. Buonino il bianchino, stimo di 12°, fermo, forse un po' troppo fermo per esser Custoza. O sono io un po' così?
Le mantovanine non erano nel solito cestino del pane, ma nel sacchetto nocciola che ti dà il panettiere, messo semplicemente sul tavolo e arrotolato sui bordi.
C'è solo un'altra tavolata di fronte a noi, con una famiglia che sta mangiando il risotto con le rane. Da commenti e sguardi ammiccanti, capisco che il riso è buono e anche abbondante, servito su piatti vassoio, con il bis pronto.
Visita ai servizi igienici, nuovi e pulitissimi.
Niente primo, il canaluzzo dell'esofago è un po' più stretto del solito, l'abbiamo già assaggiato con gli occhi ai vicini, mentre parliamo e io cerco di capire e di provare a trasmettere almeno serenità , anche se ho qualche dubbio di esserne capace.
“Non so nemmeno chi è stato a darmi un fiore, ma so che sento più caldo il mio cuor...”
Ci sarebbe anche il risotto con la carpa, che però non ci possono fare per due, l'avrebbero preparato a cena per un gruppo più numeroso. La carpa la comprano fresca apposta su prenotazione.
Non è la stagione giusta, ma con un po' più di caldino c'è anche il risotto col “pessìn”, cioè quelle specie di aolette che raccolgono nelle risaie. Solo quando si trovano però.
Puntiamo al pesce gatto fritto. Sei ottimi gattoni fumanti, serviti in modo veloce, cordiale e alla mano, su una carta assorbente gialla (quella che 40 anni fa usavano i macellai per incartare la carne), accompagnati da zucchine trifolate, peperoni in tegame con la cipolla, pomodori ripieni e bietole verdi. Spazzoliamo tutto lentamente, parlando ogni tanto. Io non sono uno specialista della chiacchiera, i silenzi sono a volte più lunghi dei discorsi. Con l'idea di questo posto e la memoria che si fonde col presente, mi sono quasi incartato.
Il pesce, anche se di solito raschia sul fondo della cava, non sa di torba, è fresco e delicato. Buone ed abbondanti le verdure, in particolare le zucchine; le bietole erano solo lessate, di solito le preferisco in teglia con l'aglio o la cipolla soffritti. Tra una cura e l'altra dei barbi, la Eli pocia una mantovanina nel sughetto dei peperoni, ottimi.
Non essendoci mia moglie che trascina, non prendiamo nessun dolce. Usciamo fuori al sole, che si era riscaldato poco poco, alleggeriti di 35 euri totali, giusti anche secondo il mio metro sparagnino. Si può calcolare circa 25 euro a testa, se si mangia anche il risotto, che noi abbiamo visto, annusato e assorbito, seppur non mandato giù (ma pochi anni fa, con la stessa gestione, era sempre gran buono).
Qualche chilometro fuori dal casello di Nogarole Rocca, se si usa l'Autobrennero, qui mangi cose particolari, di altri tempi, quasi sparite dalla circolazione. Una cucina povera, così da non riconoscere quasi nemmeno se stessa: quando uno è messo male, si dice ancora dalle nostre parti che è ridotto “a pan e pessìn”.
Mangiare sempre felici e contenti non si può, anche senza colpe per il ristoratore, e capovolgere il mondo è fatica. Ma, volendo dar un calcio alla malinconia e se si guarda al bicchiere mezzo pieno, anche con poco, qualcosa di buono si riesce sempre ad ottenere.
La mia bimba ora sorride un po'.
“Tristezza va, una canzone il tuo posto prenderà ...”
Consigliatissimo!!
[joy]
09/03/2010